ANALISI
Una mano tesa al Governo
Archiviamo la figuraccia su cinema e teatri e cerchiamo - con qualche suggerimento - una strada comune per migliorare la situazione

di Andrea Leoni

Imbracciare la penna e sparare sul Consiglio di Stato, sarebbe oggi inutile, dannoso e troppo facile, come farlo sulla Croce Rossa. La figuraccia rimediata dai ministri tra domenica e martedì sera, con la “tombola” degli spettatori per cinema e teatri, è sotto gli occhi di tutti e non necessita di ulteriore sottolineatura.

Il Paese è stanco, diviso e disorientato. Lo abbiamo scritto diverse volte negli scorsi giorni: in questo momento di emergenza sanitaria, e con una società frammentata e in ebollizione, c’è bisogno di cucire, di rasserenare, di predicare pazienza e tolleranza, anche verso gli errori e gli incidenti di percorso, benché gravi, compresi quelli commessi dai governanti. Anche se non è sexy non saremo certo noi a gettare una nuova tanica di benzina sul fuoco. La seconda ondata passerà ma a dipendenza di come l'affronteremo, ci saranno più o meno cocci della nostra società da raccogliere e rincollare. Preferiamo quindi, nel nostro piccolo, cercare in questa fase così delicata di portare un contributo per dare una mano al Governo, se riterrà utile coglierlo. Finita la crisi, ci sarà tutto il tempo per verificare l’azione dell’Esecutivo con spirito critico. Non ora. 

Per correggere un’impostazione politica che scricchiola, occorre innanzitutto analizzare le ragioni di tale precarietà. L’assenza di una strategia chiara, pubblica e concertata da un punto di vista sanitario e politico, è il primo motivo. Se il Governo desidera compattare il Paese e chiedere un nuovo gravoso sforzo collettivo, occorre condividere un piano con i cittadini. Criteri sanitari certi che corrispondono a misure di contenimento prestabilite. Esempio retorico: a tot ospedalizzazioni, per x giorni, corrispondono queste chiusure. Occorre quindi tracciare le linee guida del percorso, segnalare i pericoli e le difficoltà che potremmo incontrare e in quale modo intendiamo fronteggiarle alla bisogna. Senza ansie, ma neppure tacendo o mitigando i possibili sacrifici. Ribadiamo: bisogna dire la verità alle persone.

Una strategia chiara e condivisa già di per sé prosciugherebbe buona parte dell’incertezza, che è la principale fonte di stress, di preoccupazione e di paura. Le conferenze stampa non sarebbero più un momento di tripedante attesa - con i cittadini, i comuni e i vari settori economici inginocchiati sotto un cero in attesa della "sentenza" - ma la semplice condivisione di una tappa, già prevista, del percorso. Ciò significherebbe coinvolgere e responsabilizzare attivamente  la cittadinanza, anziché, come molti avvertono oggi, gettargli addosso la gestione della crisi attraverso il mantra della responsabilità individuale. Non servono ultimatum, last call, moniti, ma carte, bussole, e radar metereologici per remare tutti insieme, e con consapevolezza, nella stessa direzione.

In secondo luogo è importantissimo il legame e la coerenza tra messaggio e provvedimenti. Il Governo con la misura del “massimo cinque persone”, nelle abitazioni e fuori, il colore rosso e il discorso allarmante sulle ospedalizzazioni, ha detto una cosa precisa ai ticinesi: state il più possibile a casa ed evitate, del tutto o quasi, i contatti sociali al di fuori della famiglia. Questo messaggio forte, però, non ha trovato riscontro nel resto del pacchetto, nella pratica, nella vita reale.  Perché se devo starmene a casa e in famiglia, allora occorre essere conseguenti e chiudere bar, ristoranti, cinema, teatri, musei, palestre e mettere in remoto tutte le scuole tranne quelle dell’obbligo. Come è stato fatto in Svizzera francese, o in Germania, o in Francia, o in Gran Bretagna, o nelle zone rosse italiane, Lombardia in primis. Qui o è sbagliato il messaggio o sono esagerati i provvedimenti.

Terzo punto. Le misure devono essere chiare e comprensibili in logica per la popolazione. O una cosa si può fare o non si può fare. O un’attività è potenzialmente pericolosa per la diffusione del contagio - in questa fase di emergenza - o non lo è. L’interpretazione, i divieti senza conseguenze, le misure inutili, alimentano soltanto il caos e i negazionisti. Chiudere de facto cinema e teatri senza avere il coraggio di chiuderli davvero (e di dirlo, soprattutto), dimostra soltanto scarso coraggio nell’assumersi una responsabilità politica. E fare retromarcia tornando ai trenta spettatori, anziché ai cinquanta come da ordinanza federale, è una toppa peggiore del buco. Ripetiamo: se la gente deve stare a casa e in questo momento è troppo pericoloso riunire in un cinema e in un teatro cinquanta persone, allora si chiuda. Anche perché c’è il rischio concreto che, se la situazione non migliora, nel giro di pochi giorni si dovrà nuovamente fare retromarcia. E allora come è possibile, per chiunque, programmare un’attività qualsiasi e vivere con un briciolo di serenità?

Quarto e ultimo punto: le conferenze stampa. Il Governo parli in diretta e a reti unificate, unicamente se ha da comunicare provvedimenti seri e incidenti sulla vita quotidiana delle persone o sul sistema ospedaliero, nel bene o nel male Non per annunciare l’introduzione obbligatoria delle mascherine alle scuole medie, tanto per intenderci. Per aggiornamenti sanitari o minori, si limiti alle note stampa mettendo a disposizione dei giornalisti il medico cantonale o i vari responsabili di settore. 

Tutto questo, lo ribadiamo, lo scriviamo come contributo sincero a sostegno della difficile azione del Consiglio di Stato: dobbiamo restare uniti e darci una mano gli uni con gli altri.

In tal senso ci auguriamo che ciò che è stato finora deciso sia sufficiente a proteggere gli ospedali, in modo che possano essere curati tutti - ripetiamo: tutti - i pazienti ticinesi bisognosi di assistenza, Covid e non. Ricordiamoci che ogni letto sacrificato al virus, è un letto in meno, un medico in meno, un infermiere in meno, per chi soffre di altre patologie.

Se però così non fosse, se le misure finora in vigore non fossero abbastanza, bisogna essere pronti ad andare oltre. Senza paura e senza illusioni. Senza dogmi e senza testardaggine. Facciamo quel che c’è da fare, spiegando bene perché lo facciamo.

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