SECONDO ME
Riduzione degli statali: "La politica ticinese in cortocircuito chiede l'aiuto da casa"
Edy Pironaci sull'iniziativa popolare: "Piuttosto ci si attende un’analisi seria che individui in ogni settore dell’apparato statale dove c’è del superfluo, dove il personale può essere occupato in modo più razionale"

di Edy Pironaci (articolo pubblicato sul periodico della Federazione Svizzera dei Funzionari di Polizia)

Ad inizio ottobre quattro rappresentanti degli attuali cinque partiti di Governo hanno presentato un’iniziativa che mira a contenere il sempre più crescente numero d’impiegati dello Stato. Essenzialmente, i promotori chiedono che (esclusi i docenti e il personale di cura dell’Organizzazione socio-psichiatrica cantonale) il popolo si esprima sulla riduzione di circa 580 dipendenti nei prossimi cinque anni, precisando che non si tratta d’effettuare dei licenziamenti, ma piuttosto di rallentare la sostituzione di personale che nei prossimi cinque anni lascerà l’amministrazione per raggiunti limiti d’età o per altri motivi.

L’iniziativa si basa su uno studio voluto dal Gran Consiglio, effettuato dall’Istituto di Studi Avanzati sulla Pubblica Amministrazione (IDEHAP) presso l’Università di Losanna, che ha dimostrato come il Ticino spenda per l’amministrazione pubblica circa il 33% in più rispetto alla media Svizzera. Sul merito dell’iniziativa balza all’occhio il fatto che non si vada a ricercare la causa del problema, cioè, non si prova ad individuare il motivo per cui il numero d’impiegati (e di conseguenza la spesa pubblica) sia in continuo aumento. Inoltre, risulta piuttosto discutibile che il calcolo proposto per porre un limite al numero del personale dell’amministrazione cantonale venga fatto sul numero della popolazione residente, non tenendo conto dell’enorme numero di frontalieri (esploso negli ultimi anni) e lavoratori distaccati che ogni giorno varca il confine e che genera sicuramente moltissimi costi aggiuntivi all’amministrazione.

Tralasciando però questi aspetti, seppur importanti, quello che emerge da questa iniziativa è la stranezza del metodo con il quale si vogliono raggiungere determinati risultati. Cioè il fatto che i rappresentanti di quattro partiti devono ricorrere all’iniziativa popolare, quindi, chiedono “l’aiuto da casa”, nonostante rappresentino la maggioranza assoluta degli attuali cinque partiti presenti nel Governo cantonale, ma anche la maggioranza assoluta del Parlamento.

Questo dimostra due cose fondamentali. Da un lato lo scollamento tra Governo e Parlamento e dall’altro, l’incapacità degli stessi partiti di trovare una sintesi su temi fondamentali all’interno dei propri gruppi parlamentari. Due situazioni preoccupanti che fanno certamente riflettere gli elettori sulle capacità decisionali della classe politica che hanno scelto.

Detto questo, ritornando al merito della questione, e parlo a titolo personale, si potrebbe anche essere favorevoli a discutere sul principio di ridurre e/o impiegare in modo più razionale il personale dello Stato, ma è importante in questo caso che il dibattito consideri i diversi fattori in gioco e anche le possibili conseguenze, non da ultimo anche quelle economiche a lungo termine. Parliamo ad esempio della qualità dei servizi.

È evidente che una riduzione del personale potrebbe ridurre a corto termine i costi dello Stato, ma la domanda che dobbiamo porci è un’altra: siamo pronti a rinunciare a determinati servizi garantiti oggi dall’amministrazione cantonale? L’ambito della sicurezza, assieme a sanità e istruzione, è considerato uno dei servizi fondamentali per il buon funzionamento di uno Stato. Senza dubbio, una riduzione del personale in questi ambiti potrebbe avere forti implicazioni per la sicurezza e il benessere della collettività. Infatti, se pensiamo agli agenti, meno effettivi a disposizione corrisponderebbe a meno situazioni alle quali la polizia può dare risposte; quindi, potrebbe voler dire che per determinati fatti la polizia non interviene più.

Se, invece, non si vuole rinunciare a determinati interventi, vuol dire che aumenterebbero considerevolmente le attese dell’utenza, ma soprattutto aumenterebbe il carico di lavoro per il personale di polizia in servizio. Carico di lavoro che a lungo andare porta a situazioni di stress, di burnout e, per forza di cose, alla diminuzione della qualità del servizio reso. Questo è solo un esempio, che vuol dimostrare che in quanto cittadini ci si aspetta che la politica non lanci un’iniziativa generica volta a diminuire il numero di impiegati dello Stato, solo con lo scopo di contenere i costi dell’amministrazione, ma piuttosto ci si attende un’analisi seria, elaborata, che vada ad individuare in ogni settore dell’apparato statale dove c’è margine di miglioramento, dove c’è del superfluo, dove il personale dello Stato può essere occupato in modo più razionale.

Per questo motivo “l’aiuto da casa” richiesto con l’iniziativa popolare, sembra più che altro un atto volto a dimostrare che si vuole far qualcosa, ma che in realtà non si sappia esattamente cosa. Perché, nel caso in cui si vada a votare e che il popolo dia mandato di ridurre il numero di dipendenti pubblici, sarà poi ancora la politica (con i vertici dell’amministrazione) a doversi chinare sul come questi obiettivi debbano essere raggiunti, salvaguardando il buon funzionamento del sistema Paese. Non voglio, infatti, credere che la politica si aspetti che sia il popolo a dirgli anche dove esattamente si può ridurre il personale.

Per questo, l’ulteriore domanda che sorge spontanea al cittadino è: perché perdere tempo e scomodare il popolo portandolo al voto per una cosa che rientra pienamente nei poteri della politica eletta? Questo modo di far politica, parlo sempre a titolo personale, oltre che rappresentare uno spreco di risorse pubbliche, sia finanziarie che in termini di tempo, spinge la stessa politica ad esprimersi su posizioni populiste e demagogiche, che spesso, quando si trova in questo vortice, prende decisioni più dettate dalle emozioni che da analisi razionali dei problemi. Il rischio è quello d’affrontare problemi, come l’efficientismo dell’amministrazione statale, semplificando e polarizzando il dibattito su chi è contro e chi a favore, portando ad una polarizzazione delle opinioni, ma, evidentemente, non risolvendo il problema.

Concludo dicendo che piuttosto di politici che “chiedono l’aiuto casa” rifugiandosi nella consultazione popolare su questioni ovvie - qui “il cortocircuito” - ci si aspetta che sul tema della riduzione della spesa dello Stato, vi sia un’analisi seria e responsabile, che tenga conto delle riforme necessarie in ogni settore dell’amministrazione, capace, fondamentalmente, di bilanciare l’efficienza con la qualità dei servizi pubblici offerti, garantendo che le misure adottate non compromettano il benessere dei cittadini e nemmeno quello dei lavoratori.

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