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Quarto Potere
18.12.2017 - 06:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

No Billag, parla Marcello Foa: "Siamo contrari all'iniziativa. Con la RSI condividiamo l'obbiettivo, ma non la campagna catastrofista. Comunque vada il 4 marzo Teleticino e Radio 3i andranno avanti. Se si votasse oggi in Ticino potrebbe vincere il sì. Ma

Intervista esclusiva al CEO del Gruppo del Corriere del Ticino che si esprime per la prima volta sulla votazione che mira ad abolire il canone: "Una rete tv pubblica fedele alla propria missione è un elemento prezioso per la democrazia. Noi megafono del centrodestra? Tutte invenzioni. Spero che Marchand non sia stato nominato troppo tardi. I derby di hockey "regalati" da UPC? Falso. E dai dipendenti della RSI reazione delirante...."

di Andrea Leoni


MELIDE - “La nostra posizione è molto chiara: siamo contrari alla No Billag”. Marcello Foa non ci gira intorno e colloca senza tentennamenti il conglomerato mediatico che dirige sul fronte del “no” all’iniziativa che mira all’abolizione del canone.

 

Il CEO del Gruppo del Corriere del Ticino, parla per la prima volta della votazione che sta infiammando l’arena politica in Ticino e in Svizzera. Una voce molto attesa nel dibattito, quella di Foa, anche perché nel corso dei mesi si sono moltiplicate le speculazioni sulla reale partita che intende giocare il principale gruppo mediatico privato del Cantone.

 

Il nostro incontro avviene negli studi di Radio 3i a Melide, dove ha sede anche Teleticino: entrambe le emittenti beneficiano di una quota del canone. Ne è nata una conversazione, in cui abbiamo toccato, in modo schietto, articolato e senza tabù, tutti i temi principali che sono emersi in questa prima parte della campagna. Una sorta di bilancio di fine primo tempo in attesa che, dopo le vacanze natalizie, parta la volata che ci condurrà fino al fatidico 4 marzo. Così come fatto con Maurizio Canetta, essendo Marcello Foa un giornalista, riporto il colloquio come avvenuto: con il “tu”.

 

“Il Cantone subirebbe uno dei più grandi traumi economici e sociali della propria storia”

 

“Noi pensiamo che l’accettazione dell’iniziativa - mi dice argomentando l’affermazione con cui abbiamo aperto il “pezzo” - sarebbe negativa anche per il nostro Gruppo. Un sì, infatti, provocherebbe delle onde d’urto molto pericolose e difficili da prevedere. Onde che, inevitabilmente, comporterebbero pesanti ripercussioni per tutto il territorio ticinese. Se dall’oggi al domani 1’200 persone, con le rispettive famiglie, si ritrovassero confrontate con la disoccupazione, il nostro Cantone subirebbe uno dei più grandi traumi economici e sociali della propria storia. E questo senza considerare tutto l’indotto generato dal canone di cui in parte beneficia anche l'economia privata. Penso che nessuno possa giudicare come salutare questa ipotesi….”.

 

“La campagna non è partita benissimo...”

 

Chiarita la posizione, entriamo nel dettaglio. A cominciare da un giudizio sulla campagna.

 

“Non è partita benissimo. L’impressione è che prevalga la paura rispetto alla necessità di mandare anche un messaggio positivo. Giocare solo sul piano del catastrofismo, con toni esasperati sui social da parte dei dipendenti della RSI, ma anche attraverso alcuni messaggi pubblici lanciati dall’azienda, è sbagliato. Anzi, peggio, può rivelarsi controproducente. Per vincere una campagna del genere devi convincere la società che il servizio che offri è importante e di qualità. Questo aspetto secondo me è mancato”.

 

Però, leggendo il testo dell’iniziativa, è comprensibile, legittimo, che il tema delle conseguenze - la chiusura della RSI su tutte - domini la discussione e generi preoccupazione in chi lavora per la radiotelevisione pubblica. “Legittimo lo è senz’altro ma non basta. Anche perché aleggia la grande incognita: come verrà applicato il testo dell’iniziativa in caso di approvazione popolare? Abbiamo già visto proposte molto forti accolte dal popolo che, successivamente, sono state annacquate un po’ qua e un po là in Parlamento, traducendosi infine in un’applicazione più formale che sostanziale. Certo, se il testo della No Billag fosse recepito così come è scritto, sarebbe uno shock: la cancellazione del servizio pubblico e di ogni forma di finanziamento alle radio e alle tv da parte della Confederazione. Ma quel che intendo dire, ritornano alla domanda, è che se hai fiducia nei tuoi mezzi, e noi nel nostro gruppo ne abbiamo, devi puntare prevalentemente su quelli per convincere le persone. Devi trascinare la gente dalla tua parte in maniera ottimista, puntando sulla fiducia e su quello che produci”.

 

“Secondo me neppure gli iniziativisi vogliono che la No Billag passi”

 

A questo punto la domanda è inevitabile, seguendo il ragionamento. Hai dei dubbi sul fatto che nelle segrete stanze non esista proprio quel “piano b” che i protagonisti, a cominciare da Leuthard e da Marchand, smentiscono categoricamente di avere? “Non lo so. Non mi sono fatto nessuna idea in proposito. Bisognerebbe essere a Berna per capirlo. Doris Leuthard è un’accanita sostenitrice della SSR e questo mi potrebbe portare a pensare che qualche ragionamento lo stiano facendo. Però il rischio che la SSR sparisca è concreto e non bisogna negarlo. E, lo ribadisco, sarebbe un trauma forte, esagerato, che secondo me neppure gli iniziativisi in cuor loro desiderano davvero. A mio avviso con questa iniziativa i promotori volevano mandare un messaggio, mettere un po’ di pressione, invece ora si sono accorti che potrebbero vincere. E questo ha preso un po’ in contropiede anche loro”.

 

“SSR traumatizzata. E la RSI…”

 

Ma sotto lo scacco del contropiede, secondo Foa, in questo momento c’è soprattutto la SSR: “Ma è un fattore psicologico abbastanza comprensibile. Loro hanno sempre vissuto come se nessuno potesse mai mettere in discussione l'esistenza dell'azienda. Oggi invece la loro posizione viene minacciata in maniera radicale. Questo è indubbiamente un trauma che è complicato da gestire. Ed esattamente come reagirebbe una persona traumatizzata, la SSR fa fatica a muoversi con lucidità in una situazione così inedita. Anche se poi nel Paese la percezione dell’azienda è molto diversa. In Romandia sono popolari. In Svizzera tedesca lo sono altrettanto ma nelle zone periferiche e tra gli over 50, come accade un po’ ovunque per le televisioni generaliste. Mente in Ticino la RSI non sembra suscitare una grande simpatia in una parte della popolazione, anche se i dati d'ascolto dicono che è seguita. C’è una fetta di pubblico, penso all’elettorato leghista, ma anche a quello conservatore o a quello vicino all’imprenditoria, che non li ama. A torto o a ragione, non mi sbilancio: lungi da me il pensiero di giudicare la concorrenza. Probabilmente hanno giocato un ruolo anche le campagne fatte nel corso degli anni dal Mattino della Domenica. Resta il fatto che tutta la somma di questi sentimenti possono creare le condizioni affinché l’iniziativa passi in Ticino”.

 

Il piano b di Teleticino

 

Ma veniamo a Teleticino. Al famoso “piano b” di cui ha già parlato Matteo Pelli, spiegando come l’azienda stia valutando opzioni nel caso il 4 marzo si realizzasse l’ipotesi peggiore. “È come avere una casa sul bordo del fiume quando sai che potrebbe arrivare una piena. Tu, sulle prime, pensi che gli argini che hai costruito reggeranno, ma poi consulti degli esperti e questi ti dicono che forse sarà la piena del secolo. E allora ti domandi: se il fiume straripa che si fa? E siccome c’è un po’ di tempo per pensarci noi abbiamo cominciato a fare dei ragionamenti. E siamo arrivati alla conclusione che, nella non auspicata ipotesi di vittoria del “sì”, Teleticino potrebbe comunque stare in piedi”.

 

“Comunque vada il 4 marzo non alzeremo bandiera bianca”

 

I dettagli non li rivela. Ma traccia il perimetro. Un perimetro segnato da diverse incognite ma con una certezza: Teleticino e Radio 3i non chiuderanno. “C’è un piano b, un piano c, un piano d, perché sono molte le variabili da considerare. Prima opzione: la RSI sparisce. Secondo opzione: la RSI si riduce per tre quarti. Terza opzione: arriva un nuovo attore sul mercato nazionale che si compra le frequenze, ma sarebbe interessato a un canale in italiano? E in tutto questo che fine farebbe Admeira? E ancora: se non ci fosse più la RSI quanta pubblicità potrebbe eventualmente riversarsi su Teleticino? Tanta? Poca? Difficile da dire…Sul fronte radiofonico siamo tranquilli, mentre la televisione sappiamo che ha dei costi importanti. Alla fine tutti questi scenari oggi li possiamo solo ipotizzare senza però avere alcuna certezza. Di sicuro un territorio come il nostro avrà comunque bisogno almeno di una radio e di una televisione che racconti quel che accade a livello locale. E da questo punto di vista abbiamo un vantaggio: noi siamo sempre andati al risparmio e perciò non abbiamo bisogno di mezzi imponenti per andare in onda. Già oggi siamo piccoli, agili, flessibili e creativi. Altre televisioni che fanno parte di Telesuisse - l'associazione mantello delle tv private - ci hanno detto chiaramente che se passa la No Billag chiudono. La nostra volontà invece è altrettanto chiara ma opposta: il 4 marzo non alzeremo in ogni caso bandiera bianca e ci prodigheremo per andare avanti”.

 

“Una tv pubblica fedele alla propria missione è un elemento prezioso per la democrazia”

 

Da giornalista ritieni importante per una democrazia avere un servizio pubblico nell’ambito dell’informazione che, grazie al finanziamento del canone, può restare indipendente dal mercato e dalle sue esigenze? “Io sono favorevole alla presenza di un servizio pubblico in campo mediatico. Ci sono vari esempi nel mondo, con modelli di finanziamento molto diversi. Quando ero corrispondente negli Stati Uniti, per esempio, guardavo spesso la PBS, che trovo svolga un ruolo importante per quanto riguarda il giornalismo di inchiesta. Anche la tv pubblica tedesca realizza contenuti di grande qualità. E la BBC addirittura non ha la pubblicità e se ne infischia abbastanza degli ascolti. La televisione, lo sappiamo, è un mezzo che incoraggia il voyeurismo e il sensazionalismo, vedi il successo del Grande Fratello Vip. E se il tuo metro di misura è l’audience è inevitabile presto o tardi cadere nel trash. Le reti pubbliche di tutto i mondo sono confrontate con questo grande dilemma sul loro ruolo. Io credo che un tv pubblica, fedele alla propria missione, che si permette di fare produzioni giornalistiche e culturali che i privati non possono produrre, sia senza dubbio un valore aggiunto per tutta la società e un elemento prezioso per la democrazia”.

 

“Noi megafono del centrodestra? Tutte invenzioni”


Prima dicevi che una parte del pubblico ticinese, quello leghista e conservatore, non ama la RSI. Il che è vero. Ma c’è un’altra parte del Paese che non ama il Gruppo del Corriere e che lo considera una sorta di megafono del centrodestra e un grande intreccio di interessi politici ed economici per quell'area politica: da Tito Testamenti a Christoph Blocher. “Quando sento queste cose sorrido… Il Gruppo del Corriere del Ticino, oltre che essere azionista di maggioranza di Teleticino, di Radio 3i e di Ticinonews, ha partecipazioni di minoranza in diversi altri media. Pensiamo al Caffè, ad esempio, che politicamente non è certo un giornale di centrodestra. Prendi il caso Argo 1: il Corriere ha preso una certa linea, il Caffè un’altra. E va benissimo così. Quindi a chi ci fa questa obiezione rispondo semplicemente: seguiteci, guardateci e poi giudicateci nel nostro insieme”. Tutte invenzioni? “Sì".

 

“Ecco perché non facciamo iniziative insieme alla RSI”

 

Un altro punto spinoso della campagna è il rapporto tra Muzzano e Comano: perché il Gruppo del Corriere ha deciso di non andare a braccetto con la RSI in questo confronto pubblico? Sappiamo che c’è stato un incontro per valutare una possibile strategia comune. Perché non si è trovato un accordo? In altri cantoni della Svizzera la SSR e le radio e le tv private combattono fianco a fianco, in Ticino no. Vien da pensar male… “Ti rispondo sinceramente, perché non c’è niente da nascondere. È vero, ci siamo incontrati. La RSI ci ha proposto di fare delle iniziative insieme, però sia io che Matteo non lo abbiamo ritenuto opportuno. Entrambi, infatti, pensiamo che gli elettori sceglieranno di votare “no” in base a come si identificano rispetto ai vari media. Chi si identifica nella RSI lo farà per un motivo. Chi si identifica con noi lo farà per un altro. Siamo convinti che la gente voterà anche in base allo spirito con cui ci segue. Se avessimo fatto un’iniziativa comune con la RSI, il messaggio che sarebbe passato sarebbe stato sbagliatissimo. Qualcosa tipo: “Alla fine voi giornalisti, nel momento del bisogno, vi proteggete a vicenda. Siete una casta, siete tutti uguali e fate tutti schifo”. Avremmo semplicemente fatto da sponda a un sentimento molto forte tra i sostenitori del sì. E sarebbe stato un errore colossale”.

 

“Con Comano condividiamo l’obbiettivo, non il tipo di campagna”

 

Questa è l’analisi “tecnica”, ma non è che alla fine non siete andati d’accordo semplicemente perché non condividevate il tipo di campagna e l'obbiettivo finale? “L’obbiettivo lo condividiamo, il tipo di campagna sicuramente no. Noi siamo convinti che una comunicazione distruttiva accentui l’antipatia. Esagerare la percezione della minaccia funzionava fino a 20 anni fa. Oggi la gente non ci crede più. Lo abbiamo visto con Brexit, con Trump, per fare degli esempi eclatanti. Noi dobbiamo convincere le persone a respingere l’iniziativa, puntando sul fatto che sia la SSR che le radio e le tv private svolgono un ruolo importante per lo sviluppo del Paese. E per questo motivo è giusto che vadano serenamente avanti per la propria strada. Questo è il messaggio che deve passare”

 

“Marchand mi ha fatto un’ottima impressione. Spero non sia stato nominato troppo tardi”

 

Però se la RSI sparisse per il Gruppo del Corriere aprirebbe un’opportunità di mercato. Se invece le cose rimangono come oggi, per voi sarà impossibile crescere più di tanto televisivamente, considerata la sproporzione finanziaria a vantaggio di Comano. Rimarrete nella vostra comfort zone, una bella nicchia protetta ma pur sempre una nicchia. Sinceramente, sotto sotto, non vi stuzzica l'idea? “Noi siamo realisti. Partiamo da lontano: da qui a 10 anni non sappiamo quale sarà l’influenza della televisione, quella della radio e quella del web. Ma se oggi qualcuno mi dicesse di investire 30 milioni, io non li metterei sulla televisione…. E certo non in un mercato piccolo come quello della Svizzera italiana. La vera partita, iniziativa permettendo, si giocherà con la nuova legge sulla radiotelevisione. Gli editori si oppongono al fatto che la SSR faccia pubblicità sull’online. E hanno ragione: perché un’ipotesi del genere danneggerebbe gravemente il mercato dell’editoria privata, lo sapete bene anche voi. Questo è un punto fermo. Il secondo punto è che la SSR, quale ente di servizio pubblico, dovrà ridefinire i suoi compiti e lasciare un po’ più di spazio agli altri attori del panorama mediatico. Recentemente ho incontrato il nuovo direttore della SSR Gilles Marchand e mi ha fatto un’ottima impressione. È una persona aperta, concreta, con cui si può ragionare bene. E lui è il primo a rendersi conto di questa necessità. La mia sincera speranza è che la sua nomina non sia arrivata troppo tardi…”

 

“Sui derby reazione delirante dei dipendenti della RSI sui social”

 

Per qualche passo indietro da parte del servizio pubblico, pensi ad esempio ai derby di hockey. “I derby potrebbe essere un esempio (ride, ndr). Anche se un po’ estremo e sicuramente opinabile”.

 

Però, insomma, si dice che UPC, che è un piccolo azionista di Teleticino, ve li abbia sostanzialmente regalati a un prezzo stracciato per danneggiare la RSI, anche in chiave No Billag. Una voce che è circolata parecchio anche a Comano.

 

“È assolutamente falso. La presa di posizione iniziale della RSI, attraverso le parole di Enrico Carponi, è stata cavalleresca e noi l’abbiamo molto apprezzata. Poi invece c’è stata una reazione delirante da parte dei dipendenti sui social. Cablecom UPC è una società quotata e mica ti regala i derby. Questa idea è semplicemente assurda! Non c’è stato uno sconto, una regalia, semplicemente si è creato uno spazio e ci siamo infilati rapidamente con una proposta innovativa. Ho parlato anche con Marchand di questo episodio dei derby. E lui mi ha detto: “Ben venga la concorrenza. Ci fa solo bene!”. Credo che sia la risposta migliore possibile”.

 

“Se si votasse oggi in Ticino vincerebbe il sì. Ma si può ancora ribaltare il risultato”

 

E per finire un pronostico: che aria tira secondo te? “Chiaramente ragioniamo a sensazione, non essendoci neppure un sondaggio sul Ticino. Penso che se votassimo oggi il “sì” vincerebbe nel nostro Cantone. A livello, nazionale, invece potrebbe esserci una maggioranza favorevole nel voto popolare, ma non credo per quanto riguarda i Cantoni. Secondo me in Ticino siamo sotto, ma all’interno di una forbice tra il 45% e il 55%. C’è ancora tempo per ribaltare la situazione, insomma. A patto che dopo Natale cambi il tono della campagna”.

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