SECONDO ME
Roberto Caruso: "L'abito e il giudice"
"Si tratta di bilanciare gli interessi individuali con i valori condivisi dalla società: rispetto, libertà, adesione e identità"
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01 FEBBRAIO 2025
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La lettera di Quadri e Verda Chiocchetti: "Colpevoli di femminilità"

19 FEBBRAIO 2025
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La lettera di Quadri e Verda Chiocchetti: "Colpevoli di femminilità"

19 FEBBRAIO 2025

di Roberto Caruso (opinione pubblicata il 6 marzo su LaRegione)

Traggo spunto dall’articolo “Colpevole di femminilità” di Francesca Verda Chiocchetti e Siro Quadri pubblicato da questo giornale lo scorso 19 febbraio, per fare alcune riflessioni sul tema della comunicazione attraverso l’abito.

Come parliamo? Come facciamo a esprimere un pensiero? Osserviamo, annotiamo e codifichiamo. Poi impariamo la grammatica per farlo nel modo più consapevole, migliore. Come vestiamo? Come comunichiamo attraverso l’abito? Come per la lingua. L’abbigliamento si basa su un codice che porta a esprimere in modo grammaticalmente corretto il suo linguaggio. Il dress code esiste. Vestirsi in un modo o in un altro significa comporre un messaggio. Il significato di questo messaggio dipende da tre fattori: cosa indosso, in quale contesto e come l’abito viene interpretato.

La grammatica del vestimentario è una regola d’uso così come quella del linguaggio. Queste regole, la maggioranza delle regole, non sono scritte. Dove sta scritto che non si parla con la bocca piena, che per salire sul bus bisogna aspettare che scendano gli altri, che se ci mostrano una foto sul cellulare non dobbiamo iniziare a sfogliarle tutte, che quando parliamo con qualcuno dovremmo guardarlo in faccia? Dove sta scritto che in certi luoghi ci si veste in un modo e in altri in un altro? In genere non sta proprio scritto. Nella maggioranza delle situazioni possiamo vestirci come ci pare, ma non senza effetti negativi. Trasgredire le regole non scritte non comporta conseguenze giuridiche, ma a volte comporta conseguenze sociali. Seguire una regola è una sorta di pratica, un uso, un’abitudine e fors’anche un credo che ha senso solo nel modo comune e condiviso di comportarsi. Di base, e più o meno inconsapevolmente, molte cose le impariamo per imitazione. Le regole esistono, anche se non scritte, per soddisfare il bisogno di stare insieme. Dai bisogni derivano i valori, le regole, i diritti, gli interessi.

Per non rischiare giudizi pesanti, l’abbigliamento scelto dovrebbe essere un buon compromesso tra accettazione nel gruppo e soddisfazione del singolo. Si tratta di bilanciare gli interessi individuali con i valori condivisi dalla società: rispetto, libertà, adesione e identità. In altri termini, ponderare tra adesione alle regole e desiderio di distinzione. Non si tratta di una divisione, quanto piuttosto di aspetti complementari, perlomeno finché ci sono dialogo e intesa. Aderire alle regole condivise non significa necessariamente perdere l’identità e la libertà. L’identità non è un timbro di fabbrica, fa parte del modo di vivere il mondo.

La pressione dei media e il giudizio comune a volte possono diventare potenti mezzi coercitivi, poco si sottrae a questi tribunali senza palazzo. Esprimere un pensiero, lanciare un messaggio fuori dai margini condivisi può costare il lavoro, la reputazione, l’esclusione.

Fino a non molto tempo fa tutto avveniva con il pettegolezzo di paese, all’ombra del campanile, al lavatoio, nei vicoli e ora avviene con i moderni mezzi di comunicazione.

Lois, l’innamorata di Superman, insegue un amore sfuggente, veloce, forte, il più forte di tutti. Lois sa che non c’è peggiore cieco di chi non vuole vedere. Eppure, non riconosce l’amato che, a volto scoperto, travestito con giacca e cravatta e grandi occhiali, da anni le lavora accanto tutti i santi giorni. In ginocchio davanti allo schermo ti abbiamo più volte appassionatamente urlato: Lois, quel paladino dell’umanità svolazzante in tuta blu aderente, con mantello e mutande rosse è lui, Clark Kent, il tuo dirimpettaio di scrivania.

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