"Manifestare pacificamente è un diritto. Bloccare strade, vandalizzare o causare scontri violenti non lo è"

di Alain Bühler *
C’è un curioso fenomeno nel dibattito pubblico ticinese: ogni volta che si parla di responsabilità e di regole, spunta qualcuno che invoca filosofi per dimostrare che il buonsenso è reazionario. È accaduto martedì con l’editoriale del direttore de laRegione Daniel Ritzer, che ha deciso di tirare in ballo Hegel per spiegare che la destra ticinese “capovolge la moralità”. Peccato che a capovolgersi, in questo caso, sia il ragionamento stesso.
Hegel sosteneva infatti che una società civile funziona quando i cittadini rispettano le leggi non per paura, ma perché ne riconoscono la giustezza. È la libertà che si realizza nella responsabilità. E cosa c’è di più hegeliano di dire che chi abusa di un diritto deve risponderne?
L’iniziativa parlamentare che ho proposto insieme a una ventina di colleghi in Gran Consiglio e che chiede di far pagare i costi straordinari di polizia a chi li cagiona organizzando o provocando manifestazioni illecite non ha nulla a che vedere con un moralismo di parte. Non pretende di “punire” chi la pensa diversamente, ma di ristabilire un principio elementare: la libertà di uno finisce dove comincia quella degli altri. Manifestare pacificamente è un diritto. Bloccare strade, vandalizzare o causare scontri violenti non lo è. Ed è giusto che chi genera un costo straordinario se ne faccia carico, anziché scaricarlo sulla collettività.
Perché quei disordini non colpiscono solo le forze dell’ordine o i cittadini bloccati nel traffico: colpiscono anche l’economia reale. Ogni manifestazione non autorizzata che degenera in vandalismi, perturbazione del traffico o violenza significa incassi persi per ristoratori, commercianti, lavoratori che si vedono ostacolati nel loro lavoro quotidiano. A pagare, insomma, è sempre chi si comporta correttamente, mentre pochi imbecilli trasformano la piazza in un danno collettivo.
In altri Cantoni svizzeri questo principio è già in vigore, senza che nessuno abbia gridato alla dittatura. Un principio che non limita la libertà d’espressione e tanto meno quella di riunione, ma responsabilizza chi la esercita. E non crea alcun “chilling effect”, come sostiene Ritzer, se applicato con proporzionalità e buon senso: chi protesta in modo pacifico non paga nulla; chi prevarica le libertà altrui, sì. È la differenza tra un diritto e un abuso.
Forse il vero problema non è Hegel, ma la tendenza di certi ambienti intellettuali a scambiare l’impunità per progresso. Si può essere colti e allo stesso tempo disconnessi dalla realtà. Basta osservare quanto poco questo tipo di critica parli alla gente comune. La moralità di cui parla Hegel non è quella di un’élite che scrive editoriali, ma quella di una comunità che condivide valori elementari di ordine, rispetto e reciprocità. E su questo punto, la morale comune ticinese ha già deciso da che parte stare.
La verità è semplice: il diritto senza responsabilità si svuota, la libertà senza limiti degenera in anarchia e la tolleranza senza regole si trasforma in ingiustizia. Non c’è niente di “reazionario” nel ricordarlo. È il fondamento stesso della convivenza civile. Se difendere le libertà dei cittadini rispettosi delle regole significa “capovolgere Hegel”, allora ben venga: almeno lo rimettiamo in piedi, dopo anni di teorie rovesciate sul mondo reale. E se questo è il peccato capitale della destra ticinese, è un peccato che molti, oggi, sono ben felici di sottoscrivere.
* deputato UDC