SECONDO ME
Lupo, Dadò al vetriolo contro Zali
"Mentre il consigliere di Stato sa che presto potrebbe godersi la quiescenza tra gli ulivi della Toscana, grazie alla buona pensione che gli pagano anche i vallerani..."
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di Fiorenzo Dadò*

Sono passati quasi trent’anni dal 23 maggio 1996, quando a Mendrisio si tenne una conferenza organizzata da Roberto Lardelli, presidente di Ficedula, con il professor Luigi Boitani, tra i massimi esperti mondiali del lupo. Scopo della serata: informare autorità e allevatori su quanto stava avvenendo a pochi passi da noi. Davanti a centinaia di persone, Boitani, che non è un fanatico ma uno studioso serio e oggettivo, fu chiarissimo nel lanciare l’allarme e stabilire una tempistica. Ci azzeccò in pieno.

Il lupo dall’Abruzzo stava risalendo a gran velocità verso le Alpi e sarebbe presto arrivato da noi. Infatti solo cinque anni dopo, il 10 gennaio 2001, ci fu la prima apparizione in Ticino, a Monte Carasso, dove vennero uccise tre capre. Cos’è stato fatto da allora per dare una mano al mondo agricolo? Qual è stato l’atteggiamento dell’autorità? I fatti di questi giorni sembrano parlare da soli.

Abbiamo superato la metà del 2025, sono passati trent’anni dalla conferenza di Boitani e oltre venti dalla prima predazione in Ticino; tuttavia sembra di essere ai piedi della scala, con molti problemi in più per alpigiani e contadini, che si sentono abbandonati. Il lupo, è evidente, non è più un animale in via di estinzione e non ha bisogno di grande protezione, in quanto la sua presenza nei nostri boschi è in aumento. Tuttavia non si tratta di decidere “lupo sì o lupo no” e ancor meno di sprecar tempo in dannose contrapposizioni che non fanno altro che dividere la popolazione. Il lupo c’è e, protetto come mai lo fu nei secoli passati dall’ambiente naturale ricco di selvaggina in cui vive, è realisticamente impossibile da eliminare. Non resta che trovare il modo per conviverci, intervenendo però in modo deciso e repentino laddove è necessario.

A chiederlo da tempo è tutto il mondo agricolo e parecchi cittadini che hanno a cuore le sorti dell’equilibrio naturale e delle regioni alpine. Di fronte alla claudicante reattività delle autorità ticinesi, in un comunicato congiunto con il collega Piero Marchesi abbiamo manifestato questo malessere, rendendoci colpevoli di lesa maestà nei confronti di Claudio Zali, direttore del Dipartimento del territorio che, con la Lega dei ticinesi, ha in consegna il dossier dal 1995. Invece di darsi una mossa, dimostrando di affrontare la questione seriamente, prendendo esempio dai pragmatici consiglieri di Stato dei cantoni Grigioni e Vallese, dove il “problema lupo” esiste come da noi ma viene affrontato, Zali ha pensato bene di reagire col suo solito modo da problematico primo della classe, ossia con la denigrazione. Dimostrando nuovamente sprezzo per le periferie, etichetta come “folklore locale” la sofferenza degli alpigiani e la critica di scarsa volontà “un attacco in malafede”.

Il consigliere di Stato che, contrariamente ai suoi omologhi, non si è mai scomodato ad andare a Berna a perorare la causa ticinese, delegando la questione ai funzionari, non si è scomposto neppure di fronte alle tristi interviste rassegnate di alcuni alpigiani e nemmeno ha sentito il bisogno di dare un segnale di solidarietà, mettendo eccezionalmente gli scarponi e visitando un alpeggio. No, ha preferito attribuire la responsabilità dell’inazione a Berna tirando in causa addirittura il consigliere federale Rösti che appena eletto ha perlomeno cercato una prima soluzione allentando le restrizioni.

Mentre il consigliere di Stato sa che presto potrebbe godersi la quiescenza tra gli ulivi della Toscana, grazie alla buona pensione che gli pagano anche i vallerani, gli alpigiani disperati continueranno a subire gli attacchi dei lupi, i giovani contadini getteranno la spugna e gli alpeggi, uno dopo l’altro, verranno abbandonati. Esattamente quello che sta già accadendo ora con l’inazione di Zali.

*presidente Il Centro - articolo pubblicato sulla Regione

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