SECONDO ME
De Rosa senza peli sulla lingua: "Sui premi è una presa in giro collettiva"
"Se oggi i costi sanitari sono fuori controllo, non è solo colpa del sistema. È anche perché tanti ci marciano"

di Raffaele De Rosa*

Basta giri di parole. Quello che sta succedendo con i premi di cassa malati è una presa in giro collettiva.

Ogni anno ci dicono che “è inevitabile”, che “i costi sono aumentati”, che “è colpa dell’invecchiamento della popolazione”. E ci dicono pure “Bravi, per tutto quello che fate in Ticino!”. Ma quello che vediamo, noi, è che a pagare sono sempre gli stessi: le famiglie, i pensionati, i giovani ticinesi. È ora che qualcuno dica chiaramente come stanno le cose. E io continuerò a farlo e non ho intenzione di starmene zitto a guardare.

Il sistema della cassa malati, in Svizzera, è malato nella struttura. Sì, è malato. I premi – ma smettiamola di chiamarli premi che non si vince niente – sono diventati una tassa parallela. Ogni anno più cara. Ogni anno più insostenibile. E ogni anno più lontana dalla realtà dei salari, delle pensioni, della vita vera.

Il Ticino paga tra i premi più alti della Svizzera. E chi dice che è colpa nostra, che siamo “troppo malati”, o che “consumiamo troppo”, non ha capito nulla. Non è un capriccio. È il risultato di una somma di fattori che nessuno vuole affrontare con coraggio: una popolazione più anziana, sì, ma anche un sistema che incentiva troppe prestazioni, visite, esami – spesso inutili, spesso doppioni – perché più si prescrive, più si guadagna. È un meccanismo perverso e il peggio è che è perfettamente legale.

E sapete perché? Perché la legge federale, la LAMal, autorizza tutto questo. Berna decide le regole, le strutture tariffali, i rimborsi, i prezzi dei medicinali, chi può fare cosa e in che modo. E i Cantoni, in questo gioco, hanno un ruolo di spettatori frustrati. Non possiamo toccare le tariffe. Non possiamo bloccare esami inutili. Non possiamo nemmeno fermare il business dei farmaci a prezzi fuori da ogni logica. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a medicinali il cui prezzo sfiora cifre da capogiro: basti pensare al Sovaldi (sofosbuvir) per l’epatite C, che per il ciclo di terapia di 8–12 settimane in Svizzera costa decine di migliaia di franchi per i casi più gravi e a produrlo poche centinaia di franchi. Vi sembra normale lucrare sulla salute delle persone?

Lo so che qualcuno dice: “Ma voi a livello cantonale non fate niente”. Bene, vi rispondo con i fatti. Abbiamo bloccato l’apertura di nuovi studi medici dove il mercato è saturo. Abbiamo congelato le nuove autorizzazioni per infermieri indipendenti e servizi privati a domicilio, che rischiano di far esplodere costi già fuori controllo. Stiamo portando avanti due iniziative concrete per ridurre il prezzo dei medicinali e continuiamo a fare pressione su Berna per cambiare, finalmente, il sistema e introdurre trasparenza e regole giuste.

Io non mi nascondo. Non mi giro dall’altra parte. Ma cambiare davvero richiede tempo, volontà, coraggio di sfidare lobby fortissime che vogliono che tutto resti com’è. Cambiare costa fatica e a qualcuno non fa piacere far venire a galla cose che finora sono state sommerse, ma io non ho paura di farlo. Per questo voglio dire anche un’altra cosa: se oggi i costi sanitari sono fuori controllo, non è solo colpa del sistema. È anche perché tanti ci marciano. Sì, ci sono abusi e ci sono casse malati che non fanno il loro dovere di controllare davvero. Perché tanto, se i costi salgono, scaricano tutto sui premi. E chi paga? Sempre noi.

Per dire basta e per continuare a fare pressione su Berna, abbiamo bisogno anche di voi. Denunciare comportamenti scorretti non è fare la spia. È difendere il diritto a un sistema sanitario giusto. Se qualcuno ruba, va segnalato. Punto. Come faremmo se qualcuno rubasse in casa nostra. È la stessa cosa.

Capisco la rabbia, capisco la frustrazione, la rassegnazione e anche il cercare un responsabile e puntargli un dito contro. Ma la soluzione non è disinteressarsi o credere alle promesse facili di chi dice che “noi sì che taglieremo i premi”. Perché non l’hanno fatto prima e non lo fanno adesso? Perché non usano una bacchetta magica? Queste non sono soluzioni. Le soluzioni si costruiscono con un lavoro serio, continuo, concreto, che richiede coraggio e che richiede alleanze. Con la popolazione, con altri Cantoni, con chi a Berna ha veramente voglia di cambiare le cose.

Il Ticino non è fermo. Il Ticino non subisce in silenzio. Il Ticino è tra i pochi che hanno il coraggio di dire che la LAMal non funziona più e l’ha dimostrato anche con i risultati delle votazioni federali. E se qualcuno deve avere il coraggio di mettersi contro chi difende i privilegi del sistema, io lo faccio, anzi continuo a farlo, convinto e senza paura e non mi lascio scalfire dalle critiche o da chi dice che scarico la colpa su Berna. Perché la politica deve servire a cambiare le cose, non a gestire l’esistente.

Non posso fare miracoli, ma non mi sono mai tirato indietro. Continuerò a dire le cose come stanno, anche quando non piacciono, e continuerò a lavorare senza sosta per un sistema sanitario che sia davvero al servizio delle persone, non degli interessi economici e nemmeno di chi ci marcia dentro.

*direttore DSS - articolo pubblicato su Popolo e Libertà

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